Divulgazione e approfondimento sempre più apprezzati anche dal popolo dei social.
Trasparenza e semplicità di scrittura alla base del rapporto di fiducia con gli utenti e per il futuro l’idea di un documentario dedicato alle filiere del settore
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Benedetta BONI
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Scienza e divulgazione. Sono questi i binari su cui si muove la sua carriera. Biotecnologa con un dottorato di ricerca in Neuroscienze, Beatrice Mautino è autrice di una serie di volumi di successo, considerati ormai da molti immancabili testi di riferimento per chi vuole “vedere i cosmetici con gli occhi della scienza”. Abbiamo chiesto alla divulgatrice (che su Instagram si presenta ironicamente come divagatrice) di ripercorrere per Accademia 33 alcuni aspetti fondamentali della corretta informazione sul settore e i suoi prodotti. Al centro del confronto il valore scientifico del cosmetico, una componente indispensabile non sempre percepita da pubblico e consumatori.
Come si diventa una comunicatrice della scienza e come si applica questa professione al mondo cosmetico, sul quale sembra ancora pesare il pregiudizio della futilità?
Sono diventata comunicatrice della scienza per passione, durante gli anni del dottorato, quando mi sono resa conto che raccontare quello che facevo in laboratorio mi interessava e mi divertiva di più del lavoro al bancone. Quando poi ho capito che sarebbe potuto diventare un mestiere mi sono messa a studiare, ho seguito corsi, iniziato a consultare la letteratura scientifica di riferimento e ho fatto, come tutti, molta gavetta. Ai cosmetici ci sono arrivata solo negli ultimi anni dopo essermi costruita una certa professionalità che mi ha permesso di superare quel pregiudizio a cui si fa riferimento e che fa pensare ai cosmetici come a qualcosa di frivolo e leggero. A me piace ribaltare gli schemi e ho scelto proprio questi beni percepiti come voluttuari come mezzo per raccontare la scienza a chi, per i motivi più svariati, la scienza non la frequenta.
L’industria cosmetica rappresenta un settore fondamentale per l’economia italiana, ma forse non tutti sanno che dietro ai prodotti quotidiani di igiene personale, cura di sé, benessere, protezione e prevenzione c’è una vera e propria componente scientifica. È una mancanza solo italiana?
Si tratta di un problema diffuso che sentono anche i miei omologhi negli Stati Uniti o in altri Paesi europei in cui la comunità dei divulgatori scientifici che si occupano di cosmetici è un po’ più grande. Ed è legato probabilmente a quel pregiudizio di cui parlavamo e che influisce anche sulla comunicazione di tipo promozionale che, per i cosmetici, è preponderante. È raro trovare aziende che investano sulla comunicazione degli aspetti scientifici dei cosmetici o che aprano le proprie porte per mostrare le linee di produzione o che raccontino quanta ricerca c’è dietro alla formula di un rossetto. Ho dedicato il mio ultimo libro, La scienza nascosta dei cosmetici, all’industria italiana del make-up, cercando di portare le mie lettrici e i miei lettori con me dentro alle aziende ad ascoltare le voci dei chimici, dei coloristi e dei capitani d’industria che fanno la grandezza di questo settore, ma non posso dire che sia stato facile entrarci.
Anche la cosmesi non è risparmiata dalle fake news. Quali le più clamorose e quali le armi e le collaborazioni virtuose per combatterle?
A me preoccupano molto quelle legate alla pericolosità degli ingredienti, quelle che associano l’insorgenza di tumori o altre malattie all’uso di determinati prodotti, sia perché creano preoccupazione, diffidenza e confusione nelle persone, sia perché costringono le aziende a modificare formule e usare il marketing del senza che, a sua volta, alimenta le paure. È un circolo vizioso che è quasi impossibile da fermare. Non credo ci sia un’unica ricetta per combatterle, ma sono abbastanza convinta che l’informazione corretta e trasparente possa fare molto.
Social e strumenti digitali: che valore hanno nella diffusione di una corretta informazione e quali rischi presentano?
Sono strumenti che fanno parte delle nostre vite e che, per una buona fetta della popolazione, hanno sostituito le fonti di informazione classiche, quindi sarebbe sciocco non utilizzarli. Il vantaggio, dal mio punto di vista, è quello di poter arrivare a un pubblico che non avrei mai raggiunto in un altro modo e la quotidianità permette di costruire un percorso di informazione che dura nel tempo. È molto diverso dalla comunicazione mordi e fuggi a cui i giornali ci hanno abituati. Il rischio più grande, dal mio punto di vista, è quello di perdere la fiducia che ho faticosamente costruito in questi anni.
In questi giorni è andato in ristampa per la terza volta il tuo ultimo libro La scienza nascosta dei cosmetici (Chiarelettere, 2020). Cosa apprezzano maggiormente i tuoi lettori, a cui hai riservato anche un servizio dediche per corrispondenza durante il lockdown?
Due cose in apparente contrasto fra loro: da un lato la semplicità della scrittura, dall’altro l’approfondimento. Con la diffusione dei social si era iniziato a pensare che il pubblico fosse interessato solo ai titoli, cercasse informazioni veloci, curiosità e risposte facili e pronte. Stiamo però scoprendo che i video lunghi funzionano meglio di quelli corti e che nessuno si spaventa per una newsletter molto scritta o per un saggio scientifico di trecento pagine. Certo, devono essere di qualità e accessibili.
Dal blog La ceretta di Occam ai social fino a progetti editoriali di successo (Il trucco c’è e si vede ha prodotto undici ristampe ed è stato tradotto in altre due lingue). Cosa riserva il futuro professionale di Beatrice Mautino?
In molti mi chiedono un nuovo libro dedicato ai cosmetici per completare la trilogia e magari arriverà, devo solo trovare una chiave adatta. Ma mi piacerebbe anche provare a cimentarmi con qualcosa di nuovo, come un podcast di una decina di puntate andando in giro a raccogliere voci dal mondo della cosmetica o, pensandola proprio in grande, un documentario in stile Netflix che racconti alcune delle filiere più interessanti della produzione di materie prime o prodotti, dal carminio in Messico, alle miniere in India alle fabbriche di pigmenti in Cina. Indipendentemente dalla forma, quello di cui sono abbastanza sicura è che continuerò a fare quello che so fare meglio, cioè raccontare storie di scienza.