È una “lezione” del covid di cui far tesoro: unire le forze e pensare in prima persona plurale
Di Benedetta Boni e Francesca Casirati
Top voice di Linkedin Italia, Filippo Poletti ha fatto del suo percorso formativo, dell’esperienza in campo giornalistico e della comunicazione un unicum che lo rende oggi uno dei volti di riferimento per parlare delle dinamiche che interessano mondo del lavoro e professionisti di tutti i settori. Confrontarsi con lui significa aprire il dibattito su molteplici aspetti che sono anche stimoli orientati a una chiara visione del modo di concepire la sfera professionale: un ambito dinamico e in continua evoluzione, dove la chiave resta non fermarsi mai, in primis attraverso la formazione.
In una situazione economico-finanziaria incerta come quella attuale, come descriveresti lo stato del mercato occupazionale?
I dati macroeconomici sono preoccupanti: da una parte il Pil potenziale dell’Italia decresce e, dall’altra come registra da tempo l’Economist, la disoccupazione è salita al 9% contro una media dell’area euro dell’8,1%. Potenzialmente, dunque, il valore di tutte le merci e dei servizi di nuova produzione ha smesso di crescere e, allo stesso tempo, siamo ben al di sopra della disoccupazione strutturale, ossia quella che la nostra economia può sostenere. Se poi prendiamo la lente d’ingrandimento e osserviamo il mercato occupazionale, ci accorgiamo che siamo di fronte a una crisi “selettiva” che sta colpendo in modo violento i lavoratori senza posto fisso: i dati forniti dall’Istat, infatti, ci dicono che rispetto al mese di febbraio del 2020, lo scorso ottobre sono mancati più di 420 mila posti di lavoro, di cui 284 mila contratti a termine e 136 mila autonomi. Di fronte a questo quadro non possiamo che far tesoro della “lezione” del covid: siamo entrati ufficialmente nell’“era del noi”. Se c’è una parola che la pandemia ci ha fatto riscoprire è proprio questa: ci ha fatto rileggere, cioè, il pronome personale “io” all’incontrario con l’aggiunta della lettera “n”. Di fronte alla crisi globale in atto non esiste altra possibilità che unire le forze: vale per le istituzioni pubbliche e per quelle private, così come per le aziende e i lavoratori. Dobbiamo pensare in prima persona plurale: noi, noi, noi.
Quale scenario si potrebbe configurare nel medio termine?
La “vision” o visione d’insieme, come ci siamo appena detti, è quella fotografata dalla macroeconomia. La “mission” comune è quella di unire le forze. Siamo all’inizio di “Una nuova storia (non cinica) dell’umanità”, come recita il titolo del libro dello scrittore olandese Rutger Bregman. In questo processo di unione delle energie positive e costruttive le donne possono e devono giocare un ruolo fondamentale. Lo ha detto bene Cristina Scocchia, ceo di Kiko a colloquio con il supplemento L’Economia del Corriere della Sera: il nostro Paese riprenderà a correre se sarà capace di incrementare anche il tasso di occupazione femminile. Se lavora solo una donna su due, contro il 68% degli uomini, il rilancio non avverrà. Come dimostrano gli studi compiuti da Bankitalia, la promozione dell’accesso femminile al mercato del lavoro permetterebbe al Paese di avvicinarci all’obiettivo indicato dall’agenda di Lisbona (pari al 60%), facendo crescere il prodotto interno lordo. L’incremento dell’occupazione femminile si tradurrebbe, infatti, nell’aumento del 7% del Pil.
Quale rilievo riveste oggi, tanto per le aziende quanto per i professionisti, l’attività di professional branding, in particolare attraverso gli strumenti social?
Un grande rilievo, direi. Come dimostrano gli ultimi dati diffusi da We are social e Hootsuite, il 67,9% degli italiani usa i social media con una crescita annua di 2,2 milioni di utenti attivi. Le aziende, siano esse B2C o B2B, rispettivamente dedicate ai beni di consumo o a quelli industriali, devono fare leva sul cosiddetto “communication mix”, pianificando e realizzando attività di comunicazione che comprendano, accanto all’advertising, alle pubbliche relazioni o al direct marketing, anche la comunicazione online non a pagamento, organica, per utilizzare un termine in uso tra gli addetti ai lavori. I professionisti, dal canto loro, devono essere presenti in rete, curando il proprio “marchio”. È quello che definisco professional branding e per il quale occorre prevedere la nostra presenza continuativa in rete: immaginiamo che ogni nostro post, storia o immagine pubblicata sui social media rappresenti una briciola di pane. Ciascun pezzettino andrà a formare quel selciato professionale percorribile da chiunque desideri avvicinarsi a noi.
Dopo più di un anno quale livello di “maturità” e consapevolezza è stato raggiunto rispetto al lavoro a distanza?
La pandemia in atto ha inaugurato un nuovo mondo, accelerando il processo di diffusione del cosiddetto “remote working”. Secondo gli ultimi dati forniti dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, il lavoro agile è entrato nella quotidianità degli italiani ed è destinato a restarci: al termine dell’emergenza si stima che i lavoratori agili, che opereranno almeno in parte da remoto, saranno complessivamente 5,35 milioni, di cui in particolare 1,72 milioni impegnati nelle grandi aziende e 920 mila nelle piccole e medie imprese. La collaborazione professionale a distanza rappresenta una grossa sfida in termini di coordinamento delle persone, affrontabile grazie alla progettazione e all’implementazione della comunicazione interna alle nostre aziende.
Ci sono dei modelli o novità tecnologiche che ci porteremo anche nel post-covid? Quale anche l’impatto nella relazione manager-collaboratore?
Entrata a far parte del nostro lavoro quotidiano, la collaborazione tramite video sarà ancora utilizzata, almeno per tutti gli incontri per i quali non sarà possibile vedersi fisicamente. Su questo la tecnologia ha fatto passi in avanti anche per quanto riguarda la cura dell’estetica: pensiamo alle webcam in grado di ottimizzare il bilanciamento della luce e regolare i colori e la saturazione con qualsiasi tonalità di pelle. È la “cosmesi” tecnologica per le video call.
È poi tempo di spostare il focus della nostra organizzazione sull’accountability intesa come la capacità dei collaboratori di assumersi la responsabilità del raggiungimento degli obiettivi definiti. Il passaggio dalla leadership autoritaria a quella condivisa permette di coinvolgere tutti i dipendenti, facendoli sentire ancora più protagonisti.
Sono emerse nuove esigenze formative?
Tra le soft skills emergono il problem setting, il problem solving, la flessibilità e la resilienza. Importanti anche le abilità “green” come la capacità di promuovere la sostenibilità ambientale nelle azioni quotidiane. Tra le hard skills spiccano quelle digitali. È quanto dice uno studio condotto dal sistema informativo per la formazione Excelsior di Unioncamere. Aggiungo anche la necessità, per chi si occupa di risorse umane, di acquisire nuove competenze nell’ambito della comunicazione interna sviluppata con le tecnologie digitali e delle quali ho parlato nel libro Tempo di IoP: Intranet of People.
A cosa non rinunciare, anche in questo momento, per continuare a coltivare il proprio percorso professionale?
Dobbiamo continuare a formarci: chi si forma non si ferma. Per questo ho deciso nel 2020 di tornare all’università per frequentare l’executive MBA del MIP, la business school del Politecnico di Milano.
Qual è stato il tuo percorso formativo e come ti definiresti oggi professionalmente?
La migliore formazione è stata per me realizzare, nel corso di 25 anni in veste di giornalista professionista, migliaia di interviste per oltre 30 testate. Ascoltando la voce di tantissimi lavoratori ho imparato moltissimo. In questo percorso professionale mi hanno aiutato gli studi umanistici e, non ultimo, quelli musicali: aver studiato chitarra e composizione mi ha aiutato a entrare in contatto con molte personalità. La musica, infatti, rappresenta il passe-partout per rompere il giacchio con chi ho la possibilità di incontrare.
Stando al più grande database delle professioni O*net, sono un “media and communication manager”. Al di là del job title, mi piace definirmi un “cercatore di storie”. Sono convinto che al centro del lavoro ci siano le persone e che la comunicazione interna ed esterna di ogni azienda debbano partire dalle persone. Concentriamoci, dunque, sullo storymaking, inteso come la testimonianza dei professionisti.
Tra le case history e i personaggi che hai avuto modo di intervistare e incontrare, ci sono delle figure che ritieni particolarmente emblematiche?
Ne cito uno che ho intervistato recentemente per il talk New Normal Live, che conduco ogni giovedì alle 18 su LinkedIn, in occasione del quarantennale della prima puntata della rubrica scientifica Quark: Piero Angela. In diretta online il grande giornalista e divulgatore ha raccontato il segreto dell’eterna giovinezza, ossia mantenere la curiosità e avere progetti, anche piccoli.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
L’uscita del nuovo libro Grammatica del nuovo mondo, in cui rifletto su 50 parole diventate chiave ai tempi della pandemia. Tra queste c’è anche la “bellezza-terapia”. Non volendolo spoilerare, vi rimando alla lettura del volume che sarà pubblicato da Lupetti.