Valeria Loretti, fondatrice di CreActive Four e LaZiaVale.it, consulente di digital marketing, esperta di reputazione digitale e prevenzione del cyberbullismo
Quante volte, sentendo parlare di una persona, siamo andati a vedere i suoi profili social o a googlare il suo nome per capire chi fosse? Lo stesso accade a noi in tantissime occasioni, anche professionali: quando un recruiter esamina la nostra candidatura per una posizione o quando apriamo un primo contatto via mail con qualcuno che non conosciamo per avviare una collaborazione. Le informazioni incontrate sul web, nella maggior parte dei casi, giocano un ruolo fondamentale nella decisione finale di instaurare o meno un rapporto lavorativo o personale con noi. È, quindi, sempre più importante avere consapevolezza di ciò che circola in rete sul nostro conto e verificare che rispecchi l’immagine che vogliamo effettivamente dare di noi.
PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE
“Correggere” una reputazione online che non ci piace, o che pensiamo non ci rappresenti, può essere molto difficile. Se è vero che possiamo produrre nuovi contenuti in linea con l’immagine che desideriamo costruire e cercare di rimuovere o rendere meno reperibili quelli non di nostro gradimento, dobbiamo tenere a mente che entrambe queste azioni si scontrano con ingombranti ostacoli. Le pagine presenti sul web da tempo, infatti, possono aver maturato una buona indicizzazione ed eventuali nuovi contenuti che andremo a creare troveranno difficoltà a scalare i risultati sui motori di ricerca. Parallelamente, elementi che abbiamo rimosso potrebbero essere stati salvati da qualcuno ed essere rimessi in circolo. Pensiamo al semplice screenshot di un post cancellato. Una prima regola da tenere a mente per una web reputation curata è quella di pensare alle “controindicazioni” di ciò che pubblichiamo prima di farlo. Dopo potrebbe essere tardi.
NEI PANNI DELL’ALTRO
Un buon esercizio per gestire la nostra reputazione in rete è quello di guardarci dall’esterno con alcune semplici azioni: cercando il nostro nome su Google (il modo migliore è tra virgolette: “nome cognome” e “cognome nome”); impostando degli alert per sapere cosa viene pubblicato di nuovo; scorrendo lo storico dei nostri profili social. Che impressione diamo di noi? Una strategia per capirlo è quella di pensare a una persona reale e immaginarne l’opinione. Se usiamo i social prevalentemente per lavoro potremmo chiederci cosa ne penserebbe il nostro capo, oppure un head hunter. In una prospettiva più generale, una buona cartina di tornasole è “cosa ne penserebbe una nonna?”. Ponendoci queste domande prima di postare un contenuto possiamo capire anche se sia il caso di limitarne la visualizzazione con gli strumenti offerti dalle piattaforme, quali le Instagram stories per gli “amici stretti” e le impostazioni privacy per i post su Facebook.
GLI STRUMENTI PER LE AZIENDE
Nell’era di internet “every person is a spokesperson”. Una risorsa, anche quando non è un portavoce ufficiale, può essere facilmente riconducibile all’azienda. La sua immagine, quindi, potrà essere associata a quella della realtà per cui lavora, portandole così un danno o un beneficio. Ne consegue che oggi è fondamentale per le imprese occuparsi della reputazione digitale di ciascun dipendente a ogni livello. Come farlo? Gli strumenti a disposizione sono essenzialmente due. Il primo è fornire delle linee guida, se non un vero e proprio regolamento, da seguire per l’utilizzo dei social, soprattutto per i contenuti legati al lavoro. Il secondo è investire in una formazione sul tema. Quest’ultima opzione è ancora più efficace, perché non andrà a imporre delle regole, ma a innalzare la consapevolezza e la sensibilità dei lavoratori, permettendo loro di comprendere che una buona web reputation è un valore per l’azienda, ma ancor di più per loro stessi.