Dalla digitalizzazione alla ricerca, passando per la transizione ecologica, gli obiettivi e le missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per i prossimi sei anni
Di Valentina Rovinalti, Advocacy and Lobbying Senior Consultant FB & Associati
Digitale, innovativo, sostenibile, femminile, semplice, efficiente e moderno. Sono questi gli aggettivi che dovrebbero essere attribuiti al nostro Paese tra sei anni, al termine del percorso di riforma programmato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Molti di questi stessi aggettivi mostrano punti di contatto con il comparto della cosmetica: un settore che, con i suoi 4,2 miliardi di euro di export, rappresenta già uno dei driver del made in Italy nel mondo, ma le cui potenzialità di crescita e sviluppo rimangono molto ampie. Quest’anno e mezzo di pandemia ha sovvertito molte delle certezze che imprenditori, consumatori e cittadini credevano di avere. Ha accelerato processi e fenomeni già avviati, mostrandone gli effetti prima che fossimo in grado di coglierli. Nonostante ciò, come avvenuto in gran parte delle grandi crisi della storia, anche la forte battuta d’arresto economica connessa all’emergenza sanitaria sta prendendo le sembianze di un nuovo inizio: una finestra di opportunità e rilancio ricca di nuovi strumenti, programmi di investimento e iniziative di riforma che potrebbero permettere anche all’industria cosmetica un significativo balzo in avanti. Complici le restrizioni di spostamento, il digitale è entrato prepotentemente nelle abitudini dei consumatori.
Nell’ultimo anno le vendite di cosmetici tramite e-commerce hanno registrato un +42% (dati Centro Studi Cosmetica Italia): segno che gli italiani non hanno voluto rinunciare all’acquisto dei prodotti per la bellezza e la cura di sé. Questa abitudine, seppur si assesterà quasi certamente su percentuali meno imponenti, rimarrà irreversibile e il PNRR potrebbe rivelarsi un valido strumento per affiancare le aziende cosmetiche nel potenziamento delle loro “vetrine digitali”. Rispetto alle risorse complessive messe a disposizione dall’Unione Europea per l’Italia – 191, 5 miliardi di euro – oltre 40 sono dedicati proprio alla transizione digitale del Paese, con l’obiettivo di rendere più competitive le filiere, capillarizzare la rete di connessione a banda larga e ultralarga e rafforzare l’internazionalizzazione delle imprese. Senz’altro positivo il fatto che parte delle risorse europee vengano utilizzate per rifinanziare il Fondo gestito da SIMEST e volto ad erogare contributi e prestiti agevolati alle aziende italiane che operano sui mercati esteri. Risorse che le imprese possono, per esempio, dedicare alla partecipazione a fiere internazionali, che dopo l’estate ritorneranno a tenersi in presenza, oppure per avvalersi di figure professionali specializzate nel campo dell’internazionalizzazione e del commercio digitale, o ancora per il finanziamento di progetti tesi a favorire innovazioni di processo e prodotto.
Il Piano sostiene finanziariamente le filiere produttive garantendo sia contributi, sia prestiti agevolati, resi operativi attraverso lo strumento dei Contratti di Sviluppo (ne saranno messi a disposizione 40), al fine di poter effettuare investimenti strategici, innovativi e progetti di filiera. Il secondo driver di investimento del PNRR, che in realtà risulta il primo se si considera l’ingente quantità di risorse dedicate – quasi 60 miliardi –, è la transizione ecologica.
La sensibilità e l’attenzione degli italiani rispetto alla sostenibilità dei prodotti sta crescendo esponenzialmente e un numero sempre maggiore di consumatori, nella fase di scelta dei cosmetici, pone molta attenzione all’impatto che gli stessi potrebbero avere sull’ambiente. Ecco perché è interessante che il PNRR finanzi la nascita di “Progetti Faro” di economia circolare, focalizzati su settori con target di riciclo specifici – tra cui la plastica – per lo sviluppo di tecnologie avanzate di riciclo meccanico e chimico. Uno degli obiettivi è quello di potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento per il raggiungimento del 65% di riciclo dei rifiuti plastici (oggi siamo circa al 50), attraverso i cosiddetti “Plastic Hubs”. Questo potrebbe rivelarsi un importante fattore trainante anche per il settore cosmetico, dal quale ci si aspettano significativi passi avanti verso la definizione di un futuro sostenibile, da parte di tutti gli attori della filiera. Un aspetto essenziale è il packaging, che rappresenta una quota significativa dell’impronta ecologica del prodotto (circa 20% delle emissioni, secondo Quantis) e che deve tendere sempre più alla riciclabilità, alla semplificazione del design per ridurre componenti e materiali e a una attenta valutazione dei processi di finitura. Anche nella fase d’uso ci sono ampi margini di miglioramento, ad esempio utilizzando contenitori che rendano più facile l’utilizzo di tutto il prodotto. Scelte di questo genere sono oramai non più posticipabili, oltre che economicamente vantaggiose.
Il PNRR investe inoltre sulle infrastrutture, sul potenziamento della logistica e sulla mobilità sostenibile, con interventi di particolare strategicità nell’ambito dell’intermodalità e della logistica integrata che si concentreranno nel potenziamento della competitività del sistema portuale, nella digitalizzazione della catena logistica e del traffico aereo, sempre con un occhio di riguardo alla riduzione di emissioni nella movimentazione delle merci. Infine, oltre 30 miliardi delle risorse europee sono riservate all’istruzione e alla formazione, settore chiave per un comparto come quello della filiera cosmetica, nella quale la formazione professionale rappresenta un fil rouge che unisce tutta la supply chian: dalla produzione, alla commercializzazione fino ad arrivare ai canali professionali. Ecco perché la riforma e il potenziamento degli ITS proposta dal PNRR risponde a una necessità molto sentita nel settore: quella di allineare i curriculum degli istituti tecnici e professionali alla domanda di competenze che proviene dal tessuto produttivo. La misura proposta dal governo, infatti, mira al potenziamento dell’offerta degli enti di formazione professionale terziaria, attraverso la creazione di solidi network tra aziende, università e centri di ricerca tecnologico-scientifica, autorità locali e sistemi formativi. Come? Con l’incremento del numero degli ITS e dei loro studenti del 100%, il potenziamento dei laboratori con tecnologie 4.0, la formazione dei docenti affinché siano in grado di adattare i programmi formativi ai fabbisogni delle aziende locali e lo sviluppo di una piattaforma digitale nazionale per le offerte di lavoro rivolte agli studenti in possesso di qualifiche professionali.
A questo si collega, inoltre, passando all’ambito universitario, l’introduzione di dottorati innovativi che rispondono ai fabbisogni di innovazione delle imprese e promuovono l’assunzione dei ricercatori dalle imprese. Il via libera da parte dell’UE al Piano presentato dall’Italia è arrivato lo scorso 22 giugno in occasione dell’incontro tra la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e il Presidente del Consiglio, Mario Draghi. Proprio da qui si riparte, anche simbolicamente, per riscrivere il copione del futuro del nostro Paese.