Per superare le dinamiche dell’immagine standardizzata e lasciare spazio alla ricerca personale di alternative serve conoscenza. Solo così nascono nuovi modelli estetici: alla stereotipizzazione si risponde con la cultura umanistica
Di Benedetta Boni
Filosofo, opinionista, appassionato d’arte, autore di saggi e romanzi. È stato professore di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano, Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera, con un passaggio come assessore alla Cultura a Palazzo Marino. Dal 2016 è Direttore dell’Istituto Internazionale di Scienza della Bellezza. A questo curriculum non manca di aggiungere, da quando è nato Federico, la carica di «papà diversamente giovane». Con Stefano Zecchi abbiamo ragionato attorno ad abitudini, stili di vita, stereotipi, ruolo dell’immagine, identità e gusto del nostro tempo. Non sono mancati gli interrogativi sul futuro e sull’idea del bello che guida la contemporaneità.
È ancora possibile parlare di canoni estetici oggi?
Sì, certo, i canoni estetici esistono e sono in genere quelli di una tradizione che comunque si modernizza all’interno di una visione globale, con l’integrazione di nuove immagini che arrivano da altri mondi. I canoni estetici, dunque, restano perché sono quei riferimenti che danno qualità sia alla persona sia agli oggetti: attraverso di essi abbiamo un punto di riferimento per cogliere la complessità delle identità degli individui o delle cose.
Che tipo di immagine è quella che domina la nostra quotidianità?
Oggi c’è una comunicazione molto rapida e diffusa che porta con sé un’idea dell’immagine molto più stereotipizzata. Gli stereotipi nascono, appunto, dal fatto che esistono delle immagini guida che diventano virali e che si trasformano poi in forme di aggregazione, per cui è sempre molto difficile venir fuori da modelli standardizzati perché questo implica personalità e gusto personale.
Gusto: come lo si trova e definisce?
Oggi il mondo globale non lascia libertà, per questo è molto difficile imporre il proprio gusto. Si esce da un modello stereotipato, ma creandone uno a sua volta modesto sul piano dell’immagine e dell’attualità, come fosse una controparte volutamente trasgressiva.
A quali modelli si guarda?
I modelli oggi diventano proprio gli influencer, che entrano in una psicologia molto fragile – che non ha libertà di immagine – di giovani, ma anche di meno giovani, dando la sicurezza di essere all’interno di un progetto estetico condiviso e accettabile. Queste figure nascono da un mondo globalizzato che consente quindi una comunicazione capillare: sono loro a dettare le regole e a stabilire i canoni, mentre gli altri seguono.
Esistono ispirazioni alternative?
Per uscire da questi modelli ci vuole molta cultura, è questa la chiave della risposta a questa domanda cruciale. La cultura dà sicurezza, identità, capacità di sintesi e di conoscenza del passato, coraggio nella visione del futuro: si tratta di una cultura fondamentalmente di tipo umanistico. In questo ambito si può giocare la carta di una ricerca personale e di una valutazione più soggettiva e meno standardizzata dell’immagine.
A proposito di cultura, da tempo si dice che l’Italia dovrebbe puntare anche su una economia della bellezza. A che punto siamo?
Diciamo che ci sono molte parole e pochi fatti. Non perché manca la volontà, ma perché manca la cultura della bellezza. Si pensa che tutto possa essere o diventare bello, ma non è così perché la bellezza ha delle regole molto precise – di conoscenza e non matematiche – che si allontanano dall’approssimazione. La parola bellezza finisce per essere assimilata a quella di gusto: è una sciocchezza affermare “mi piace quindi è bello!”. A che punto siamo, dunque? C’è indubbiamente la consapevolezza che l’economia della bellezza sia importante, ma d’altra parte a mio parere si è molto arretrati perché manca, ancora una volta, un’educazione estetica.
Una città su tutte, quella in cui lei è nato, Venezia, torna come simbolo della bellezza e, allo stesso tempo, della fragilità del nostro Paese.
Venezia ha una bellezza legata ad una specie di globalizzazione lontana nel tempo, è un sincretismo culturale straordinario perché nasce dalla conoscenza e dall’esperienza dei grandi mercanti, dotati di sensibilità e quindi capaci di capire le cose belle e di far conoscere la bellezza. La sua straordinaria geografia, in mezzo alla laguna, la rende unica. Queste sono le sue specificità e, allo stesso tempo, le sue fragilità, che sono quelle che tutta la realtà contemporanea patisce, dalla globalizzazione del turismo all’aumento delle temperature, che un tempo non esistevano.
Futuro. Quali pensieri le evoca questa parola?
Il futuro certamente chiede, come oggi si sente dire a ogni angolo di strada, un’attenzione a tutti i problemi del nostro pianeta, che vanno dall’aumento della popolazione al surriscaldamento globale, allo sfruttamento delle risorse della terra. Cambiare il ritmo del mondo è difficilissimo e anche costosissimo: richiederebbe un enorme investimento tecnologico. È molto complessa questa idea di restituire la terra alla terra. Io ho una convinzione assolutamente personale: la terra più che essere salvata sarà abbandonata. È il destino dell’uomo quello di oltrepassare i confini del mondo conosciuto per scoprirne altri. In fondo già oggi si sta iniziando a pensare a navicelle spaziali per le persone che sono interpretabili come ipotesi di costruzione di nuove arche di Noè in cui mettere nuovi esempi di civiltà terrestre che dovranno andare a conoscere e a vivere in altri mondi. È corretto migliorare ogni giorno la qualità della terra, ma l’uomo è destinato a uscire tra le stelle.
«La bellezza salverà il mondo»: non è più così se un altro mondo lo dovremo cercare tra le stelle?
Bisognerà salvare la bellezza dai mondi e portarla nei mondi!
Nel 2022 Cosmetica Italia promuoverà Milano Beauty Week, un progetto culturale ideato proprio per dar luce alle tante forme della bellezza nella città di Milano.
Credo che sia una iniziativa di straordinario interesse. Qualche idea la potrei offrire per portare il mio lavoro teorico all’interno di un progetto di comunicazione concreto che parla di bellezza. Un concetto attorno al quale ho iniziato a lavorare più di trent’anni fa, quando era considerata qualcosa di inconsistente e inutile proprio perché il canone moderno si sviluppava contro l’idea di bellezza. Oggi, invece, la parola bellezza viene evocata e sostenuta ovunque!